Comma 44

All’inizio l’aspetto più controverso e dirompente di tutta questa storia non fu giudicato tale, e questo per molti mesi, quasi un anno. O meglio, in quel momento non solo non fu giudicato né controverso né dirompente; di fatto passò totalmente inosservato, un piccolo comma sepolto fra le pieghe di un evento epocale.

Ma andiamo per ordine. Di modificare il Concordato fra Stato e Chiesa se ne parlava da quasi un centinaio d’anni, e quando la commissione bilaterale composta da venticinque rappresentanti del Vaticano e altrettanti rappresentanti della Repubblica Italiana si riunì per l’ultima volta e licenziò il provvedimento, a tutti premeva soltanto apporre la firma in fondo a quel benedetto verbale, andarsene a casa e diventare celebri. Quel pomeriggio una quarantina di mani destre e una decina di mani mancine tremarono, sudarono, infine firmarono, passandosi con apparente distacco una penna prestigiosa quanto scivolosa.

Esenzioni fiscali per le scuole confessionali, religione cattolica obbligatoria nella scuola pubblica, pensioni d’oro per i prelati, concessione di spiagge private per alcuni ordini ecclesiastici, amnistia per svariati pedo-reati, aumento stipendi dei cappellani militari, extraterritorialità di chiese e conventi, spazi garantiti in radio e televisione. Gli argomenti erano talmente tanti e così gravidi di effetti concreti e misurabili che nessuno diede importanza ad un aspetto apparentemente secondario legato alla novità più importante, la norma che aveva il compito di ricoprire di una patina di democraticità e innovazione quella che in realtà si configurava come una immensa regalia al Vaticano, l’ennesima.

L’articolo 66 allargava le maglie della libertà religiosa, permettendo l’edificazione di chiese e luoghi di culto anche all’interno di condomini e case private, mentre il comma 44 lasciava piena libertà di espressione alle stesse. Una ben orchestrata campagna di stampa presentò l’articolo 66 come una dimostrazione di modernità, la definitiva conferma del superamento dello status privilegiato della Chiesa Cattolica, omettendo i dettagli sulle nuove facilitazioni fiscali, una per tutte il meccanismo blindato del 20 x 1000, dal quale il nuovo Concordato escludeva ogni altra confessione religiosa.

Per alcuni mesi l’edificazione di nuove chiese, piccole e grandi, non sembrò un fenomeno di rilievo, e in effetti molti analisti osservarono quello che fu chiamato “effetto saturazione”. L’offerta religiosa era già ricca e i credenti, sempre meno numerosi, non sembravano aver bisogno di nuovi stimoli, accontentandosi della già vasta offerta sul mercato. L’attenzione di sociologi e teologi si affievolì e così quella della stampa.

Un giorno però i cittadini di Porta di Roma si svegliarono di soprassalto. Alle 5.00 del mattino una sirena squarciò il silenzio che avvolgeva il quartiere. Dalla grande chiesa dei Mormoni un suono agghiacciante raggiunse ogni singola casa, attraversò tapparelle e vetri, irrompendo nei padiglioni auricolari di migliaia di persone. Il fenomeno si ripeté alle 12.00, poi alle 18.00 e infine alle 22.00. Non fu necessario che qualche giorno per comprendere che lo specifico aspetto di quello che potremmo definire la competizione sonora tra diversi culti era passato inosservato all’interno di un provvedimento legislativo immodificabile. Ben presto altri luoghi di culto si attrezzarono e risposero all’offensiva mormone. Molte delle chiese cattoliche del quadrante Nord-Est di Roma raddoppiarono lo scampanio in intensità e durata.

Inutili furono le proteste e i ricorsi della cittadinanza, organizzata in comitati e class action. Una piccola chiesa Rastafariana a viale Jonio, fino a quel momento passata inosservata, montò sul balcone un altoparlante, trasmettendo Bob Marley tre volte al giorno, un garage in viale Adriatico si rivelò ospitare una piccola chiesa Quacchera non ufficiale; gli abitanti delle vie limitrofe se ne resero conto quando udirono per la prima volta il canto del qua qua trasmesso a tutto volume in occasione delle funzioni delle 10.00 e delle 19.00. Le proteste dei cittadini raggiunsero proporzioni impressionanti, ma nonostante il coinvolgimento dei più insigni avvocati l’articolo 66 e soprattutto il comma 44 sulle emissioni sonore si rivelarono immodificabili.

Quello che accadde nei mesi successivi lo conosciamo bene. Il fenomeno della competizione sonora religiosa, originato in un punto ben preciso della periferia Nord-Est della Capitale, si allargò a macchia d’olio, coinvolgendo tutti i quartieri di Roma e poi dell’intero Paese. Inutili furono le proteste degli abitanti di Abbiategrasso quando il richiamo del Muezzin echeggiò cinque volte al giorno, così come le lamentele dei cittadini di Milano Est allorché la locale Chiesa Vegana cominciò a diffondere all’ora dei pasti il loro inno, l’urlo del maiale sgozzato. Tornando a Roma, alcuni piccoli culti nacquero proprio in virtù del comma 44.

Il culto degli Who fu il primo di questi. In un cortile di via Capraia alcuni seguaci della prima ora montarono delle casse ipertrofiche, trasmettendo dal lunedì al sabato tutti i brani di Tommy, riservando “Love, reign on me” alla domenica. Intorno allo Stadio Olimpico si diffuse il culto della A.S. Roma, e fu eretta una statua-diffusore giallorossa a forma di Antonello Venditti. Fenomeno analogo ebbe luogo ad Ariccia, per i seguaci della Lazio, dove un’immensa statua a forma di porchetta divenne meta di pellegrinaggi da tutta la regione, e il Grande Grugnito si poté ascoltare ad ogni cambio d’ora, per decine di chilometri.

A Napoli il sindaco promosse un concorso cittadino per nuovi culti partenopei, in chiave di sviluppo turistico, e il progetto vincitore fu quello del Grande Gigi. Una statua cava del famoso cantante fu eretta al Vomero, capace di accogliere settantacinquemila fedeli, e non meno di diecimila figuranti travestiti da Gigi D’Alessio furono dislocati in via permanente ad ogni angolo cittadino. Una enorme cassa acustica fu calata all’interno del Vesuvio, e lo stesso Gigi officiò la prima funzione. Gli esperti concordano nel ritenere un suo acuto particolarmente intenso la causa dell’eruzione che poi, come sappiamo, distrusse la città.

Questo portò molti esperti a mettere in discussione l’articolo 66, ma le polemiche portarono a poco. Oggi il numero dei nuovi culti è in continua crescita, e il comma 44 più solido che mai, celebrato inoltre dalla potente Chiesa dei Quarantaquattro gatti, situata all’interno del Colosseo. I romani lo sanno bene, e ogni suo abitante ne conosce l’inno a memoria, diffuso sulla città dalla mongolfiera a forma di gatto che tutti i bambini amano veder passare in alto nel cielo, al mattino quando Roma si sveglia e al tramonto, quando va a dormire.

John Gillies

(English translation below)

Mi torna in mente spesso, anche se in fondo ho incrociato la sua vita per pochi anni, e le occasioni di vederci non sono state tante.

L’ho conosciuto nel 2001. Satu mi propose di passare il Natale con sua zia materna Anna-Liisa, detta Ansku, e suo marito Johnny. Partimmo da Roma con un volo Ryanair, atterrammo a Glasgow, dove ci fermammo per alcuni giorni, e poi da lì raggiungemmo Powfoot, frazione di Annan. Un piccolo villaggio sul mare, nella regione del Dumfries & Galloway, Scozia.

Il viaggio in aereo fu un pò disgraziato e mi beccai un forte raffreddore. Ero imbarazzato all’idea di presentarmi a due persone che non conoscevo col naso rosso che gocciolava, ma devo dire che Ansku e Johnny non me lo fecero pesare in alcun modo. Zia e nipote avevano mille cose da raccontarsi e furono ben felici di mollarmi solo a casa con Johnny, andando a passeggiare e chiacchierare lungo il mare. In quei giorni anche lui era raffreddato e usciva molto poco. Passava gran parte della giornata a guardare la BBC, a osservare gli uccellini affollare un paio di mangiatoie che quotidianamente riforniva, o le pecore brucare il prato verde sulla collina di fronte, attraverso una grande vetrata nel salotto.

Quando compresi che avrei dovuto passare molte ore al giorno solo con lui mi sentii perso. Il mio inglese mi metteva in grado di dirgli alcune cose, ma la mia comprensione del suo era ai minimi termini. Il forte accento e la costruzione delle frasi, veloce e infarcita di umorismo “witty” lo rendevano, alle mie orecchie, pressoché incomprensibile. Nonostante questo, capimmo molto velocemente i nostri limiti e riuscimmo a convivere piuttosto bene. Io me ne stavo accoccolato in un angolo del salotto a leggere, seduto per terra sulla moquette color crema, lui rimaneva seduto sulla sua poltrona, a sfogliare il giornale, dormicchiare e a osservare le pecore. Ogni tanto si voltava a guardarmi e io gli elargivo grandi sorrisi. Poi mi diceva qualcosa che non capivo e accendeva la TV. Allora scivolavo accanto a lui e guardavamo insieme programmi di intrattenimento pomeridiani, talk show o giochi a premi. Quando il pubblico rideva anche lui rideva e io mi accodavo.

Johnny e le Alpi

Un pomeriggio bisbigliò qualcosa con aria complice, poi aprì le ante di un armadio e tirò fuori delle videocassette, interminabili sequenze e primi piani per lo più di fiori. Una piacevole tortura. Quelle registrazioni erano una sua abitudine che si ripeteva identica ogni anno, a Madeira, dove villeggiava con Ansku per l’intero mese di novembre, una fuga al sole di cui avevano bisogno, nel mese più triste dell’anno. Mi chiesi da dove provenisse Il vizio della videocamera, lo chiesi a Satu e quello che mi raccontò fu una sorpresa. La mia visione di Johnny cambiò.

Si trattava di un retaggio di una vita di lavoro come prop-man alla Pinewood Studios. Carpentiere di formazione, per molti anni Johnny aveva lavorato nel cinema, viaggiando per il mondo, dall’Europa al Sudamerica, all’Africa, costruendo set e allestendo scenografie. Era stato proprio durante uno di questi viaggi che aveva incontrato la futura moglie, a Helsinki, sul set di “Billion Dollar Brain”, film di spionaggio del 1967 con Michael Caine, regia di Ken Russell.

Johnny propose ad Ansku di raggiungerlo a Londra, dove viveva, nel quartiere di Heston. Ansku prese un aereo per Heathrow nel 1967 e da allora non lasciò più il Regno Unito. Si sposarono il 21 marzo del 1968. La loro fu una vita di lavoro, durante la quale Johnny partiva per i suoi viaggi con la Pinewood e quando possibile entrambi tornavano in Finlandia in vacanza. Quando Johnny raggiunse l’età della pensione decisero di vendere la loro casa a Heston e nell’agosto del 1988 si comprarono una villetta a schiera con giardino a Powfoot, delizioso villaggio affacciato sul Solway Firth, al confine tra Scozia e Inghilterra, nella meravigliosa regione del Dumfries & Galloway. Duecento anime in inverno, duemila d’estate, immensi campi da golf, un villaggio di bungalow per i turisti e il Powfoot Hotel, con al piano terra un ristorante e l’unico pub del paese.

Un pomeriggio Johnny mi vide scrivere una cartolina; allora si alzò, lasciò il plaid sulla poltrona e si diresse in camera, facendomi segno di aspettarlo. Tornò vestito di tutto punto, giacca di tweed e pantaloni di velluto, e mi resi conto che non l’avevo ancora visto vestito così. Mi fece cenno di seguirlo, e ci incamminammo fino alla buca delle lettere, proprio accanto al canale lungo il quale il Pow scorre verso il mare. Imbucai la cartolina e tornammo a casa, senza parlare, solo sorrisi.

Alcuni anni dopo Johnny si ammalò e morì. E un giorno, molto tempo dopo, mi arrivò sul polso un bellissimo orologio inglese, che è quello che indosso in questo momento, un Accurist del 1965, a cui tengo molto, e soprattutto, una parte dei suoi attrezzi da lavoro.

E poi vidi queste foto di scena, che trovo bellissime. Saltarono fuori da un vecchio album, che Satu trovò in casa quando anche la zia Ansku morì. Quando le mostrammo ad alcuni vicini di casa, che conoscevano Johnny e Ansku da una vita, rimasero stupiti. Scuotevano la testa, in silenzio, increduli. Non le avevano mai viste neanche loro. Rappresentavano qualcosa di nuovo, che non riuscivano a far combaciare con l’immagine che avevano di Johnny, un uomo riservato, casalingo, tranquillo, metodico e fortemente abitudinario.

Durante le riprese di “Billion Dollar Brain”, a Helsinki

Cosa resta di un uomo? Una domanda che mi sono fatto più di una volta e per la quale non ho risposte. Naturalmente i ricordi che lasciamo negli altri e in questo, lo penso spesso, forse sottovalutiamo i nostri piccoli gesti, soprattutto i gesti di gentilezza, quei momenti che a noi possono sembrare normali, ma che a volte lasciano il segno intorno a noi.

John Gillies

He is often on my mind, even though our lives coincided only for a few years, and there were few opportunities to meet.
I met him in 2001. Satu invited me to spend Christmas with her maternal aunt, Anna-Liisa, known as Ansku, and her husband Johnny. We left from Rome with a Ryanair flight, and landed in Glasgow, where we spent a few days, before reaching Powfoot, near Annan. It is a small seaside village in the region of Dumfries & Galloway in Scotland.

The plane ride was a bit unfortunate and I caught a bad cold. I was embarrassed at the idea of presenting myself to people who I did not know with a dripping red nose, but I must say Ansku and Johnny did not make me feel any more uncomfortable than I already was. On the other hand, the aunt and the niece were quite happy to leave Johnny and me in the house, while they went along the coast for walks and chats. Those days Johnny, too, was with a cold and did not go out much. He spent most of the day watching the BBC, or observing the birds crowd around the feeders that he replenished daily, or the sheep grazing the green meadow on the opposite hill, through a large glass window in the living room.

When I realized that I would have to spend many hours a day alone with him I felt lost. My English enabled me to tell him some things, but my understanding of his was at its lowest. The strong accent and the construction of the sentences, fast and full of “witty” humor made him, to my ears, almost incomprehensible. Despite this, we understood our limitations very quickly and managed to coexist quite well. I was crouched in a corner of the living room reading, sitting on the floor on the cream carpet, he remained sitting in his armchair, leafing through the newspaper, dozing and watching the sheep. Every now and then he turned to look at me and I gave him big smiles. Then he told me something I didn’t understand and turned on the TV. Then I would slide next to him and we would watch afternoon entertainment programs, talk shows or game shows together. When the audience laughed he laughed too and I joined in.

View from Johnny’s and Ansku’s window

One afternoon he whispered something with a conspiratorial air, then opened the doors of a wardrobe and took out some video cassettes, endless sequences and close-ups mostly of flowers. A pleasant torture. Those recordings were a habit of his that was repeated identically every year, in Madeira, where he holidayed with Ansku for the entire month of November, an escape to the sun that they needed, in the saddest month of the year. I wondered where the vice of the video camera came from, I asked Satu and what she told me was a surprise. My view of Johnny changed.

It was a legacy of a lifetime of work as a prop man at Pinewood Studios. A carpenter by training, Johnny had worked in the cinema for many years, traveling around the world, from Europe to South America, to Africa, building sets and setting up scenography. It was during one of these trips that he met his future wife, in Helsinki, on the set of “Billion Dollar Brain”, a 1967 spy film starring Michael Caine, directed by Ken Russell.

Johnny’s toolbox; on the cover a sticker of the film Moonraker, 1979. Photographed in Powfoot, 16 February, 2024

Johnny proposed to Ansku to join him in London, where he lived, in the Heston neighborhood. Ansku took a plane to Heathrow in 1967 and has never left the UK since. They married on 21 March, 1968. Theirs was a life of work, during which Johnny left on his travels with Pinewood and when possible they both returned to Finland on holiday. When Johnny reached retirement age they decided to sell their house in Heston and in August 1988 they bought a terraced house with a garden in Powfoot, a delightful village overlooking the Solway Firth, on the border between Scotland and England, in the wonderful region of Dumfries & Galloway. Two hundred souls in winter, two thousand in summer, immense golf courses, a village of bungalows for tourists and the Powfoot Hotel, with a restaurant on the ground floor and the only pub in the town.

One afternoon Johnny saw me writing a postcard; then he got up, left the blanket on the armchair and headed into the room, signaling me to wait for him. He came back fully dressed, tweed jacket and corduroy trousers, and I realized I hadn’t seen him dressed like that yet. He motioned for me to follow him, and we walked to the letterbox, right next to the canal along which the Pow flows to the sea. I posted the postcard and we went home, without speaking, just smiles.

A few years later Johnny fell ill and died. And one day, much later, a beautiful English watch arrived on my wrist, which is the one I’m wearing right now, a 1965 Accurist, which I care a lot about, and above all, some of his work tools.

And then I saw these stage photos, which I find beautiful. They came out of an old album, which Satu found in the house when aunt Ansku also died. When we showed them to some neighbors, who had known Johnny and Ansku all their lives, they were amazed. They shook their heads, silently, in disbelief. They had never seen them either. They represented something new, which they were unable to match with the image they had of Johnny, a reserved, homely, quiet, methodical and strongly habitual man.

What remains of a man? A question I have asked myself more than once and for which I have no answers. Of course, the memories we leave in others and in this, I often think, perhaps we underestimate our small gestures, especially gestures of kindness, those moments that may seem normal to us, but which sometimes leave their mark around us.

View from Johnny’s and Ansku’s window