Due amiche

60 express, Batteria Nomentana, direzione Porta Pia

12 dicembre, 8:15, mattina fredda di dicembre, tramontana leggera, quando a Roma l’aria pizzica forte naso e guance, ma il sole riesce a scaldarti. Due ragazze si incontrano sull’autobus, mi sembra di capire che è da più di un anno che non si vedono. Scoprono di essere dirette entrambe all’università, anche se scenderanno a fermate diverse. Con la consapevolezza del poco tempo a disposizione, si raccontano velocemente gli ultimi mesi di vita. Incuranti della platea e soprattutto dell’ora, si concentrano sulle cose più intime. Delle loro relazioni, una vivacchia a stento; l’altra si è chiusa il 12 marzo.

La prima ragazza, con una capacità di analisi e un disincanto che sorprende, si confida. È in attesa. Aspetta che il suo lui faccia la prima mossa, che muova una pedina sulla loro scacchiera. Non ha fretta, solo la certezza che lei non farà nulla. L’amica invece ha qualcosa da raccontare, una separazione. Quel 12 marzo è stato solo l’epilogo, ma tutto si è consumato tre giorni prima, il giorno del suo compleanno e della festa della donna. Aveva chiesto al suo ragazzo un unico regalo: festeggiare il compleanno con le amiche in un locale di Roma. Si sarebbero incontrati a un orario convenuto, verso le tre di notte, davanti al locale. Lui però è arrivato in anticipo, è entrato e l’ha trovata al centro della pista, circondata da quattro ragazzi seminudi che le si strusciavano addosso. Non l’ha presa bene e se ne è andato via.

Ne ha parlato con la madre e poi, due giorni dopo, l’ha chiamato e gli ha chiesto un appuntamento per chiarirsi, per ricucire. Un appuntamento a casa di lei, alle 14:00 del 12 marzo. Alle 14:30 lui non era ancora arrivato, così lei l’ha chiamato.

– Perché non sei venuto?, gli ho chiesto, e lui allora si è arrabbiato di brutto, s’è messo a urlare. Stronza, m’ha detto, so’ stato sotto casa tua per mezz’ora, perché non sei scesa?

– Non v’eravate capiti?

– Lui non ha capito. Gli ho detto che era un coglione, che l’appuntamento era a casa mia, mica sotto. Poi poteva pure citofona’, no? E niente, poi m’ha attaccato il telefono in faccia. Non ci ho visto più, ho preso la giacca e so’ uscita.

– Sei andata a casa sua?

–  Sì, la madre ci aveva ’na faccia, ma io manco l’ho guardata, ho preso e so’ entrata, dritta per il corridoio e, senza manco bussa’, ho aperto la porta della camera sua.

– E lui?

– Stava a gioca’ alla play! Non credeva ai suoi occhi, non m’ha detto ’na parola.

– E allora?

– E niente. So’ scoppiata a piangere, non riuscivo a smettere. Ho aperto lo zaino e gli ho tirato in faccia tutti i peluche che mi aveva regalato. Uno a uno. Poi me ne so’ andata via.

Marco Tosi, 2019