Esa-Pekka Salonen

Ho un ricordo preciso anche se non particolarmente brillante legato a Esa-Pekka Salonen.

Una decina d’anni fa mi trovavo nel museo Kiasma, a Helsinki. Bighellonavo solitario, senza un programma, facendomi guidare solo dalla curiosità, dal bianco abbacinante di sale, scale e corridoi, unico condizionamento attivo la presenza all’ingresso di ogni sala di giovani hostess in divisa. Su una porta un annuncio in finlandese riportava poche frasi, che naturalmente non compresi. Tra queste però spiccava il nome di Salonen, che conoscevo e apprezzavo, e un orario. Pensai, non so perché, si trattasse di un video di un suo concerto, aprii la porta ed entrai. L’idea di sedermi e assistere a un suo concerto era, in quel momento, l’ideale.

Ci volle un attimo per comprendere il guaio in cui mi ero cacciato. Esa-Pekka erà lì, a pochi metri, parlava con trasporto da dietro una scrivania. Di fronte a lui non più di quindici persone, sedute. Si voltarono tutti a guardarmi, senza smettere di ascoltare con interesse e prendere appunti. Un fotografo faceva il suo lavoro. Una donna, bionda, occhi azzurri, mi sorrise e mi fece cenno di sedermi. Mi schiacciai invece addosso alla più vicina parete nel più profondo imbarazzo. Una hostess allora mi raggiunse e sorridendo mi porse un calice di spumante ed un neekerinpusu**. 

Poi mi chiese sottovoce cognome e testata giornalistica. Sfoderai un sorriso ebete e addentai il neekerin. La ragazza tornò al suo posto. Mi voltai lentamente verso la porta, era presidiata da un addetto a qualcosa, appoggiato ad essa. Forse era proprio quello il suo ruolo. La conferenza stampa intanto procedeva; i giornalisti ponevano le loro domande e Esa-Pekka rispondeva; un dialogo fitto ma nel consueto tono finlandese, assimilabile in termini italiani ad una recita del rosario. Apparecchiai uno sguardo interessato , pregando che nessuno mi chiedesse “cosa ne pensa?”. Poi avvertii una presenza accanto a me: una coppia di turisti, apparentemente spagnoli, assisteva in piedi, anch’essa schiacciata contro la parete bianca. Si voltarono a guardarmi e accennarono un piccolo sorriso. Mi specchiai in loro e loro in me, non ho dubbi. Dopo altri interminabili venti minuti la conferenza finì, senza il minimo preavviso. Fedeli allo stile locale, in pochi secondi erano tutti fuori, lasciando alle loro spalle una sala pulita e ordinata, come nuova, salutandosi senza convenevoli. La coppia di turisti uscì barcollando, stremata, come lo ero io.

** Letteralmente, il bacio del negretto. Il nome del dolce è stato recentemente sostituito con “Brunbergin pusu” perché considerato troppo poco politically correct. Ma tutti lo chiamano ancora nel vecchio modo.

Da Wikipedia: https://en.wikipedia.org/wiki/Esa-Pekka_Salonen

MUSEO KIASMA, Helsinki

Nove giugno 1937

La piccola Anna[1] faceva fatica a prendere sonno, la notte dell’otto giugno. Sotto le coperte, pensava con trepidazione al mattino seguente, ai regali, alla torta, agli auguri.

Nove giugno 1937, una data importante. Dieci anni. Finalmente due numeri! Da quel momento sarebbe stato sempre così, per tutta la vita, pensò.  I suoi fratelli dormivano già, lei cercava di immaginare cosa avrebbe cucinato sua mamma di speciale. Sicuramente, nonostante le inique sanzioni che le nazioni nemiche imponevano alla Patria, Papà avrebbe saputo procurare qualcosa di speciale, come sempre.

Nello dormiva già, ancora stanco del viaggio. Carlo lo osservò, pensieroso. Forse era stato un errore farsi raggiungere in Normandia. Bagnoles de l’Orne era un piccolo villaggio, solo duemila anime. Se un italiano si faceva notare, due italiani, per giunta fratelli, si notavano ancora di più, nella loro solitudine. Cosa facevano lì? Chi erano? Si, certo, le cure termali. Ma a parte la frequentazione delle terme e qualche passeggiata lungo l’Orne, erano soli. Leggevano, scrivevano. Talvolta ricevevano visite. Uomini. Raramente Francesi, per lo più Italiani. Le voci in paese circolavano, confuse e contrastanti fra loro, ma una cosa la sapevano tutti, che in Italia no, non ci potevano tornare. Rosselli era un cognome scomodo, oltre confine. A tornare a casa rischiavano la vita.

La mattina del nove giugno Anna si svegliò tutta pimpante. Mamma le aveva preparato una colazione più ricca del solito, i fratelli le avevano fatto gli auguri. Papà era già fuori, a caccia di sorprese. Dieci anni. A scuola le avevano insegnato che una brava Italiana sapeva festeggiare in modo sobrio, troppo cibo e regali costosi erano segno di decadenza, come erano decadenti le molli nazioni plutocratiche ostili alla Patria. Anna aveva imparato a disprezzarle, tanto quanto amava il suo Duce. Oh se avesse potuto vederlo di persona, anche solo per un attimo! Sicuramente le sarebbe apparso bello come lo era sui libri di scuola, forte e gagliardo, come la sua voce, che ascoltava dalla radio di Papà, ogni tanto.

Carlo si svegliò per primo e preparo il caffè, forte come piaceva a Nello. Una volta vestiti, decisero di comprare il giornale e fare due passi lungo il fiume. Che senso di frustrazione, sentirsi soli, isolati, sradicati, inutili. A Parigi era diverso, sentiva che lì poteva ancora dare il suo contributo, nonostante la situazione, sempre più difficile, di giorno in giorno. Molti compagni socialisti e liberali erano in galera o al confino oppure lontani, in fuga, nascosti anche loro. Le notizie dalla Spagna, dalla Germania, dall’Italia erano agghiaccianti. Il fascismo, creatura tutta Italiana, aveva attecchito e preso bene. D’altra parte anche in Francia non c’era da stare tranquilli, l’Ovra stava facendo terra bruciata anche lì, come aveva fatto in Spagna, tramite i camerati francesi della Cagoule. Già grande ammiratore della concretezza dei compagni laburisti inglesi, Carlo ormai confidava solamente nella vecchia democrazia liberale d’oltre manica, nella sua antica capacità di reazione. Ad est non vedeva grandi speranze.

Immerso in questi pensieri, gli occhi fissi da minuti sullo stesso titolo, notò appena, oltre il limite cartaceo della prima pagina, alcuni uomini vestiti di nero avvicinarsi a Nello, anche lui intento a leggere. “Monsieur Rosselli?” Il fratello si voltò, una lama di coltello, poi due spari, secchi.

Carlo lo vide cadere, poi i cagolaurds si volsero verso di lui, un bruciore al collo, un tonfo forte proprio accanto alle orecchie, l’odore della terra, mischiata al sangue di Nello, poi il cielo azzurro di Normandia, le nuvole bianche, poi nulla più.

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1938, Anno XVI dell’Era Fascista.

La primavera di Roma era esplosa, anche quell’anno. Gli alberi pieni di fiori, i prati verdi, l’aria tiepida, il sole, i profumi di fine Aprile. Anna, Bianca e i fratelli ne godevano il più possibile, andando a scuola, tornando a casa, passeggiando il pomeriggio nei grandi prati che circondavano Piazza Bologna. Amavano la loro periferia, così verde e tranquilla, ma erano ansiose di poter frequentare il centro della città: chi ne tornava raccontava entusiasta di addobbi fastosi, labari, tripodi, braceri, aquile e insegne romane. Roma era impazzita di gioia, di colori, percorsa da una irresistibile eccitazione. Si diceva che anche Firenze e Napoli fossero state addobbate a festa, ma mai quanto Roma. Papà le aveva portate a Piazza Esedra, ma non oltre.

Via dei Trionfi era chiusa per ragioni di sicurezza. Avevano però potuto vedere le fontane illuminate, l’acqua tricolore! Uno spettacolo indimenticabile. Anna non capiva bene cosa stesse accadendo, sapeva solo che stava per avvenire un fatto importante, che tutti erano felici, che il Duce era felice e orgoglioso del suo popolo.

La città era pronta. Attraversando un’Italia in piedi, il 3 Maggio il treno di Hitler giungeva a Roma.

La festa aveva inizio.

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[1] Anna è la madre dell’autore

Questo racconto è stato pubblicato nella sezione bibliografia della sezione Carlo Rosselli (18 novembre 2009) del Circolo Carlo Rosselli di Milano.

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PER APPROFONDIRE:

CIRCOLO ROSSELLI di Milano

e

Bella intervista a Silvia Rosselli, figlia di Nello.

Kimmo Kettunen, lo chef finlandese all’Ambasciata di Roma

Una delle attività di punta dell’Associazione dei finlandesi di Roma (Rooman Suomi-Seura) sono gli incontri di Juttutupa Roomassa, un’esperienza giunta ormai al quarto anno di vita. I temi di volta in volta trattati sono generalmente proposti dai soci stessi, a volte suggeriti dall’addetto culturale dell’Ambasciata; in questo modo Juttutupa è entrata a far parte della socialità dei Finlandesi…

Kimmo Kettunen, lo chef finlandese all’Ambasciata di Roma