Il diavolo

FONTE ORIGINALE: BLOGORILLA SAPIENS – 29 OTTOBRE 2022

Il diavolo in persona? Ragazzo, di storie strane qua sotto ne abbiamo sentite tante, ma questa le batte tutte, ma dove…
L’uomo allungò un braccio e con la mano toccò tutto ciò che incontrava, finché le sue dita riconobbero il vetro di una bottiglia. Si rese conto che era ancora da stappare e cacciò una bestemmia.
─ In questa cazzo di galleria non si vede nulla, sono certo che ce n’erano di già aperte, perdio! Ce l’hai un cavatappi? Ehi, ci sei?
Il ragazzo rispose a bassa voce:
─ Maresciallo, sono qua, davanti a lei.
─ Non ti vedo, non vedo un cazzo di niente… insomma ce l’hai o…?
Non finì la frase, con sollievo riconobbe la forma dello strumento che il ragazzo gli aveva messo in mano. Stappò il vino e dopo un paio di lunghi sorsi si rivolse nuovamente al suo compagno.
─ Ragazzo, cominciamo da capo. Sei tornato nella galleria diciotto? Lo sai che a quella non possiamo avvicinarci, è zeppa di gas e se ci sei andato altro che un diavolo, potevi vedere l’inferno al completo!
─ No Maresciallo, non sono sceso nella diciotto, non sono matto. Era in superficie, appena fuori dall’imbocco della miniera. Ero uscito per l’acqua, e poi non ho detto che era il diavolo, era uguale però, cioè come me lo immagino…
─ Cioè? ─ L’uomo cercava, nel buio, di capire da dove provenisse la voce del ragazzo.
─ Era… mi sembrava, molto alto, sicuro più di due metri, ma era sollevato da terra, si muoveva appena, dondolava a destra e a sinistra, sbattendo… beh…
─ Sbattendo cosa?
─ Le ali, Maresciallo.
─ Ragazzo, se stai cercando di marcare visita con questo trucco giuro che ti spezzo le gambe e allora in ospedale ci vai davvero. Allora, sai che facciamo? Risaliamo su e mi fai vedere dove si nasconde questo pipistrellone… sai cosa penso? Che hai visto un crucco, e non te ne sei neanche accorto. Ed è stata la tua giornata fortunata, perché non ti ha visto neanche lui. Sarà uscito dalla sua trincea per pisciare, e al buio ha perso l’orientamento, e tu hai perso la tua occasione, il tuo primo bastardo austriaco, peccato.

Mentre parlava calzò gli stivali, infilò l’elmetto e sistemò la cartucciera sul petto. Non smise di parlare neanche quando cominciò a scurirsi la fronte e le guance con la cenere. Infine si attaccò ancora alla bottiglia, bevve un sorso e sputò due volte a terra: ─ Merda, vino e cenere insieme fanno schifo, perdio! Allora? Sei pronto?
Il ragazzo era pronto. Aveva cominciato a capire cos’era accaduto. Doveva essere andata come diceva il Maresciallo, pensò; era vivo per miracolo, il crucco non l’aveva visto e lui non aveva riconosciuto il crucco. Si infilò l’elmetto e sospirò, in direzione della voce del superiore:
─ Sì, sono pronto, la precedo.
Risalirono lungo le gallerie della miniera abbandonata dove il plotone si era acquartierato da una decina di giorni. In ogni rientranza, in ciascuna grotta, decine di soldati dormivano sdraiati o stavano seduti, assorti, lo sguardo fisso nel buio. I due militari si muovevano con attenzione lungo le passatoie. Non li vedevano, ma li sentivano respirare, percepivano il fetore proveniente da quella massa di corpi sudati, sporchi, sfiniti. Avevano scelto la miniera per guadagnare tempo, in attesa dei rinforzi da sud. Era questione di un’altra settimana, ancora sette giorni da topi e poi sarebbero tornati su, in trincea.

Nessuno dei trecento soldati era autorizzato a uscire, tranne una mezza dozzina di sabotatori, incaricati di prendere l’acqua per tutti, al ruscello, uno alla volta e solo di notte. Il maresciallo, via via che sparivano, li aveva sostituiti, senza raccontare niente a nessuno e senza capirci nulla. Uno su due non tornava, era un fatto. C’era qualcuno, là fuori, che sapeva aspettare, e che in silenzio se li portava via. Un crucco, certo, cresciuto nel fango della trincea, abituato a strisciare in silenzio, dipinto di nero, coltello in bocca, con abbastanza coraggio da avvicinarsi alle linee nemiche. Ne aveva avuti anche lui di soldati così, avanzi di galera, galeotti da ergastolo. Ricordava bene Gaetano, un pluriassassino di Caserta, quanto gli era affezionato. L’aveva tirato fuori dal carcere a vita e per lui avrebbe fatto qualsiasi cosa. Ricordò il Natale di due anni prima, quando Gaetano gli aveva portato una testa d’austriaco in regalo. Alla fine però un cecchino se l’era preso, proprio all’alba, mentre tornava da una delle sue missioni.

Quando arrivarono all’imboccatura della caverna di uscita, si fermarono e rimasero in ascolto. Dall’esterno giungevano solo i richiami degli uccelli notturni, il rumore delle foglie mosse dal vento, null’altro. Il maresciallo rimosse con circospezione le frasche che coprivano l’ingresso e sbirciò fuori. Poi strisciò all’esterno, seguito dal ragazzo. Raggiunsero il ruscello e lì il giovane indicò con lo sguardo una piccola radura, poco più di cinque passi di diametro, circondata da alberi e massi. Solo un debole rumore d’acqua e il gracidare sommesso di un paio di rane spezzava il silenzio, lo rendeva più evidente. La luna era coperta dalle nuvole ma la poca luce bastò al maresciallo per vedere il viso del ragazzo che lo guardava, poi fissava un punto preciso, e poi tornava a guardarlo, annuendo. Era quello il punto. L’uomo strisciò al buio per alcuni metri e si portò sul posto. Poi si voltò verso il giovane e non lo vide più. Fece un giro su se stesso, ma niente, era scomparso. Tastò allora il terreno e trovò qualcosa. Ai suoi piedi giaceva il corpo di un soldato, bocconi, il cranio sfondato. Alzò lo sguardo e il ragazzo era di nuovo lì, che lo guardava. Il maresciallo sussurrò, incredulo:
─ Ma non capisco, sei stato tu? Sibilò a bassa voce.
Il ragazzo fece di no con la testa.
Il maresciallo allora girò il cadavere su se stesso e la luce della luna ne illuminò il volto. A quella vista scattò in piedi, con la destra estrasse il pugnale dalla fondina, mentre con la sinistra si toccò la fronte ed esclamò:
─ Tu! Ma questo… sei tu!

Quella cosa allora si alzò in volo, ma solo il tempo di aprire e chiudere le ali, marroni e lucide, poi si avventò sull’uomo, affondando gli artigli nelle sue spalle, per una decina di centimetri. Il maresciallo non morì subito. Per alcuni minuti riuscì ancora a percepire il vento freddo, lo sbattere delle ali, a scorgere le cime degli alberi ondeggiare sotto di lui, poi più niente.

Marco Tosi

FONTE ORIGINALE: BLOGORILLA SAPIENS- 29 0TTOBRE 2022

In volo

Un collage di Ilaria Salvatori

Oggi il quadrato della finestra si è allargato; sono uscita, finalmente.

Quando è successo ho fatto fatica a crederci ma dovevo, perché all’improvviso ho sentito tanti odori diversi, e avevo freddo e poi caldo sulla pelle.

E le voci dei bambini, gli strilli, e gli spintoni che mi hanno dato senza accorgersene. Una bambina doveva essersi nascosta sotto la mia sdraio, forse giocando a nascondino, perché sentivo il suo ansimare leggero, a un passo da me. Pochi minuti, poi è corsa via.

Ho sentito parlare i medici, questo sì: portiamola fuori, tanto ormai… è uscito il sole, almeno lo sente, dovrebbe percepirlo. Mi hanno messa sotto il ciliegio, il profumo dei fiori quasi mi stordiva. Un pensiero gentile.

E poi mi sono addormentata nuovamente. Ma questa volta era diverso. Nei sogni vedevo; invece stavolta non vedevo nulla, tutto buio. Ho avuto un po’ paura, ho sentito qualcosa che si rompeva come un cristallo.

Quindi ho iniziato a volare, ma in tondo, perché non ero capace. In mezzo ai rami, fra le foglie verdi, fra i fiori, anzi, nei fiori. Sbattevo qua e là, poi ho trovato l’equilibrio. Aggrappata a un petalo, ho guardato in basso e ho visto i bambini, la sdraio, i camici bianchi che parlottavano sereni intorno a me; nulla di imprevisto. Poi mi hanno portata via; sono scesa a curiosare, mi sono posata un attimo sul mio naso, ma un attimo solo: un camice mi ha allontanato. Allora di nuovo su, sul ciliegio, tra le foglie verdi, i fiori bianchi, il muschio sui rami, il vento caldo, la corteccia liscia. La primavera, ho pensato, è scoppiata davvero, ma non l’ho proprio pensato, l’ho sentito, vissuto, l’ho ronzato, ero io la primavera, ero felice. Mi sono resa conto che vedevo nuovamente; mi sono fermata un attimo a osservarmi le zampine, piene di polline, e le ali: questa non me l’aspettavo, ho pensato. Sono scesa tra i bambini, a volo radente sull’esercito bianco e giallo delle margherite, tra i rami storti del glicine, sui gerani del balcone, il mio balcone. I miei gerani rossi, finalmente li vedo, mica male, ero brava, sono brava, sono felice, felice, felice.

Marco Tosi

12 Ottobre 2022

Editing di Silvia Penso e Piergiorgio Andreani

PUBBLICATO SU BIROCONLACCENTO.COM (originale qui di seguito) – cliccare sull’immagine.

Filicudi


Sono passati venticinque anni, mai tornato, non credo tornerò. Tante immagini, preferisco restino come sono. Pane e giornale del giorno prima, se il mare permetteva al traghetto di attraccare. Lunghe sonnacchiose giornate, sola attrazione l’arrivo dell’unica nave di collegamento. Turisti pochi, spesso senza soldi. Molti, come me, in una delle tante case abbandonate sull’altra sponda dell’isola, nessuna finestra e tanti gechi sui muri a mangiare zanzare.

Due soli negozi, un alimentari e un bar. Il bar, una bella veranda affacciata sul mare, gestito da ex emigranti in Australia, che buffo sentirli fare i conti in inglese. La corrente non c’era, se la nafta per il gruppo elettrogeno non arrivava.

E poi il negozio. Me lo dissero appena sbarcato, c’è un lebbroso, attento, fa un po’ impressione ma non attacca, è lebbra secca. Una mattina entrai. Fuori il sole abbacinante, dentro buio totale. Sentii una voce. Buio, poi di nuovo la voce, di bambino. Mi girai, lo vidi.
Era seduto,un bambino in braccio. Un cappello di paglia copriva parte del volto.
Pane e formaggio, grazie. Non aveva tutte le dita, e quelle che aveva erano più corte del normale. Si tolse il cappello. Non aveva orecchie, palpebre, ciglia, non aveva il naso. Non aveva capelli, e la pelle della testa era macchiata. Il bambino ci guardava e sorrideva ad entrambi, sereno. Pagai, sorrisi ed uscii. Sorrise anche lui, un sorriso senza labbra.

Era difficile vederlo per le strade di Filicudi. Prima di ripartire però lo incontrai nuovamente; camminava lungo la spiaggia, con il suo cappello di paglia e gli occhiali da sole, il mare blu accanto a lui. Non stonava affatto, anzi. Quella meravigliosa isola senza corrente nel cuore d’Europa, così esotica e abbandonata, era adatta a lui e lui a lei.












Marco Tosi, Agosto 2005
………….
Inviato a La Repubblica per il concorso “Racconta la tua estate”, nell’agosto 2005. Selezionato tra i primi dieci, classificandosi terzo nella categoria “viaggi low cost” (inserto “I Viaggi di Repubblica” – Febbraio 2006).
………..
“(…) Non me lo avevi mai raccontato. E’ un racconto pieno di emozioni compresse. Ti assomiglia molto” . Commento via sms di mia madre Anna, 05 febbraio 2006.