Baci senza consenso

“A quiet place”, Mary McInnis, 2010

Questa storia del bacio dato a Biancaneve senza il suo consenso mi ha fatto tornare in mente una notte di tanti anni fa.

Con alcuni amici siamo andati al Carnevale di Venezia. Partiti da Roma con l’auto di Mauro, siamo Fabio, Sandro, Mauro ed io. Non sappiamo dove dormire, è tutto pieno, per cui dormiamo seduti in macchina, nel grande parcheggio di Piazzale Roma. La mattina ci svegliamo, anchilosati, distrutti, e strisciamo fino al bar più vicino. Dopo un cappuccino caldo e una brioche ci tuffiamo nel Carnevale. La notte siamo di nuovo in macchina. Resistiamo tre giorni, poi ne parliamo, così non possiamo resistere oltre, dobbiamo trovare una soluzione.

E allora tiro fuori un bigliettino dal portafoglio, e svelo un segreto. All’università ho conosciuto una ragazza, Anna. Mi piace, forse le piaccio. Abbiamo parlato di vacanze, le ho detto che vado a Venezia. Anche io, mi dice, e mi dà un numero di telefono. E’ un suo zio, che vive a Monselice, lei andrà da lui. I miei amici mi guardano, e senza parlare mi tirano fuori dall’auto, mi trascinano fino a una cabina del telefono, mi mettono in mano un paio di gettoni. Mi osservano speranzosi, sono oltre le pareti vetrate, uno per lato. Risponde qualcuno, mi passano Anna, è gentilissima, mi spiega la strada.

Dopo un paio d’ore siamo lì. Lei è con alcune sue amiche, in casa una coppia di zii, sui quaranta credo, circa il doppio dei nostri anni. Molto simpatici e ospitali. Ci offrono una doccia, un letto, cibo. Le ragazze ci truccano per Carnevale, è un paradiso. Siamo in Veneto però, e il tasso alcolico è alto, altissimo. A cena il vino abbonda, e sarà la stanchezza, sarà che non siamo abituati, ma ci va in testa, a tutti e quattro, e non solo a noi. I due padroni di casa ridono, e ci offrono la grappa, e non so cos’altro.

La casa è un piccolo palazzetto a due piani, circondato da un terreno, pieno di alberi. Il padrone di casa ci porta fuori e ridendo ci fa: “respirate l’aria fresca, toccate gli alberi, lo vedete come stanno dritti, non come voi!” E già, perché alcuni di noi non si reggono in piedi, e io fra loro. La scena è perciò questa: alcuni vengono trascinati fuori, al buio, fatti camminare tra gli alberi, sorretti da altri, più sobri. Tra i trascinati c’è una ragazza bionda, è la ragazza del fratello di Anna. Mi piace molto, e a un certo punto emerge dall’oscurità e dagli alberi, me la mettono davanti. E’ ubriaca fradicia, come me, entrambi sorretti da un paio di persone. Qualcuno urla, ridacchiando: “Marco, Paola, siete uguali!” Siamo a una trentina di centimetri, lei ha il capo ciondolante, gli occhi chiusi sembrano guardare il terreno, i capelli le cadono verso il basso. Non c’è niente che desideri di più. Lei alza il viso. Allora, non so come, mi divincolo, mi libero dalla stretta di chi mi sorregge e la bacio.

Grandi urla, risate, mi portano via. Continua il tour degli alberi, qualcuno vomita. Poi il vuoto, non ricordo altro. La sensazione è di essere sdraiato, sì, sono sicuramente sdraiato, provo a aprire gli occhi, non ci riesco. La testa mi gira, mi sembra di sprofondare dentro me stesso. Allora faccio uno sforzo, socchiudo gli occhi, sono in un salone, al buio, filtra solo la luce della luna dalle finestre, alcuni letti bianchi, vuoti, in basso rispetto al mio punto d’osservazione, sono solo, non capisco dove esattamente, il salone comincia a girare su se stesso, prende velocità, i letti cominciano a mulinare intorno a me, sempre più velocemente. E’ terribile, non resisto, richiudo gli occhi, riprendo a sprofondare in me stesso, ma mi sento meglio.

Passa del tempo, non dormo, ma non posso muovermi, né aprire gli occhi. Qualcuno entra nel salone, si avvicina, lo sento. E’ accanto a me, mi guarda, in silenzio. Poi mi lascia un bacio sulle labbra. Sento i suoi passi che si allontanano, una porta richiudersi.

La mattina seguente, quando mi sveglio, i letti sono ancora vuoti, ma vedo che sono stati usati. Ora capisco, mi hanno portato nella sala dove dormono Anna e le sue amiche. Guardo il mio letto, non è un letto, è una specie di grande culla. Esco dalla stanza, entro in cucina, alcune delle ragazze stanno facendo colazione. Incrocio il loro sguardo, oltre il fumo del caffellatte, mi sorridono.