Col permesso di papà

Da Multiperso, originale QUI

Come è iniziata tutta questa storia dei muri di stracchino io l’ho capito solo qualche mese dopo. Non avevo neanche quattordici anni quand’è iniziata e sinceramente ero pure un po’ squinternata, come diceva mio padre. Che poi mio padre era il classico bue che dice cornuto all’asino, come si dice, ma questa è un’altra storia, o forse è proprio il punto. Comunque sia, mio fratello Gino, perché è di lui che sto parlando, si era messo in testa di fare le diavolerie, e io che avevo solo quattro anni più di lui lo lasciavo fare, anzi, più si teneva alla larga e meglio stavo e quindi lo ignoravo per lo più, come mio padre ignorava sia Gino che me, in fondo, o almeno è quello che penso oggi, perché allora non pensavo a nulla. Che poi non è che oggi pensi che mio padre proprio ci ignorasse, ma certo se ci seguiva lo faceva molto discretamente e da lontano, perché non lo vedevo mai, stava sempre dentro quel suo laboratorio a riparare televisori, radio, lavastoviglie e lavatrici e a malapena alzava lo sguardo quando mi affacciavo alla porta. E insomma Gino un giorno va da lui, entra spavaldo e gli fa papà posso attraversare le pareti? prometto di non farmi male. E mio padre sorride e senza neanche guardarlo gli fa sì, ma attento a non soffocare nello stracchino, che insomma i muri non siano troppo spessi, perché se ci rimani incastrato dentro rimani senz’aria, capito? E Gino allora si ferma un attimo, e ancora me lo vedo curvo al centro del laboratorio a mangiarsi l’unghia del pollice e poi fa ok, devo stare attento ai muri grossi, grazie papà. E va via di corsa. E quell’altro che continua a sorridere sotto i baffi senza staccare gli occhi dalla tv o cos’era. E poi la signora Muratti, che arriva di corsa tutta arrabbiata, ma era qualche giorno dopo e chiede di me, perché lo sapeva che la mamma era partita per il Canadà e il papà era sempre occupato, e si lamenta perché ha trovato Gino in camera della figlia Lisetta, e questo non se lo spiega perché come ha fatto dice, che c’ero anche io in ingresso e poi questo Gino che lavoro fa adesso che era tutto sporco di formaggio o panna e puzzava anche un pochino. E allora qualche domanda me la faccio ma giusto il tempo di distrarmi e cambiare pensiero, tra le mille cose che facevo in quei tempi e poi ricapita questa storia, lasciavo Gino in camera sua a fare i compiti e non lo trovavo più, perché la sua camera aveva una parete che dava sulle scale e quello se la svignava, sempre sporco di stracchino. E poi un giorno ci provo anche io, chiedo a mio padre se posso volare e lui sì, ma solo a mezzo metro da terra. E sempre scuotendo la testa e sorridendo, e io dico grazie papà, ma questo non l’ho detto a nessuno, mi diverto così tanto a scendere lungo le colline verdi, quelle dietro il paese, e raggiungo il ruscello e poi lo seguo fino alla cascata e poi giù, fino a quando si butta nel Grigione, e sono così leggera, devo solo stare attenta ai rami, ai massi, ma col tempo ho imparato, e che ci vuole. Gino non lo sa che volo e io non gli ho mai detto niente che so dei muri. Solo una volta ho chiesto a papà se lo sa di noi, che possiamo fare queste cose e lui, sempre col sorriso scuote la testa e fa certo che lo so, basta che non vi fate male.

Marco Tosi

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