E te lo vojo di’, ma nun lo fa sape’

25 novembre, Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne. Oggi il parlamento ha approvato l’istituzione di una commissione bicamerale di inchiesta sul “femminicidio e su ogni forma di violenza di genere”. Nessun voto contrario, nessun astenuto. Bene, una buona notizia, ma non basta. Due giorni fa, a Roma, quartiere Prati, sono state uccise tre donne, in pieno giorno. Dall’inizio del 2022 in Italia sono state uccise circa cento donne, per lo più da ex conviventi, ex mariti, ex fidanzati.
E qui arrivo a Tom Jones e a Lando Fiorini. A metà luglio con la mia compagna siamo andati a a Perugia, all’Umbria Jazz, concerto di Tom Jones. Un bellissimo concerto, durante il quale Tom ha cantato uno dei suoi pezzi più famosi, Delilah. Canzone bellissima e soprattutto molto orecchiabile.

Ti rimane in testa, e infatti è ancora lì, dal 1968. Dopo averla ascoltata mi sono incuriosito e sono andato a leggere il testo. Una mia vecchia abitudine. E ho scoperto che si tratta di un femminicidio. E la canzone resta bella, su questo non ho dubbi. Qualche giorno dopo, da qualche cella del mio cervello mi è giunta un’informazione: “guarda che ne abbiamo una anche noi, è Lella”.
Lella, una canzone del 1970, di Edoardo de Angelis. Ci sono cresciuto, con Lella. Per me ha la voce di Lando Fiorini, ma l’hanno cantata tutti, da Antonello Venditti in poi. A Roma non è solo una canzone, è un pezzo della cultura cittadina, è qualcosa che prima o poi ogni romano incontra sulla sua strada, e assimila. Consiglio di ascoltare come Lando Fiorini introduce la canzone. Se la cerchi in rete, ne trovi infinite cover, e la senti cantata allo stadio Olimpico, da migliaia di tifosi romanisti.

E poi si è aperta una seconda celletta, ed è emerso un ricordo di quelli che vorresti cancellare per sempre. Sardegna, capodanno 1997. Ero ospite di cari amici, avevano aperto la loro casa a me e alla mia compagna. L’atmosfera era serena e aspettavamo la fine dell’anno assaggiando porcheddu e bevendo mirto. Al cinema del paese davano “La vita è bella” di Roberto Benigni. Una giovane donna, maestra elementare, amatissima in paese, è in sala, con un coetaneo. Fuori, ad aspettarli, c’è un allevatore locale, innamorato di lei e non corrisposto. Quando escono dalla sala, si avvicina e li abbatte, come due delle sue pecore.
Sul paese cala un silenzio totale, il giorno dopo attraverso un luogo diverso, le strade deserte, le finestre serrate, i negozi chiusi, la campana della chiesa che suona a morto, camionette della polizia circolano a bassa velocità. I genitori dei miei amici ci chiedono di non andare in giro, di restare a casa.

1968, 1970, 1997, 2022. Siamo liberi?

Temo di no. Elisa Giomi, Commissaria AGCOM (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) proprio oggi sul suo account facebook ci segnala, ma direi che è un esempio fra i tanti, la serie netflix YOU, la storia di un “grande amore”:

“In You, la voce narrante del protagonista induce ad identificarsi con lui, con i suoi tormenti di amore e slanci protettivi verso Beck, anche quando la controlla, pedina, spia, segrega e infine uccide…si chiama romanticizzazione della violenza di genere. Beck, la vittima, ha condotte imprudenti e non sa tutelare la propria privacy né online né offline (“se l’è cercata!”), ma ha amicizie intense con altre ragazze, che nutrono sospetti verso Jack. Lui però neutralizza e persino uccide anche loro: non esistono amicizie, alleanze, collettività capaci di proteggere una donna dalla violenza di un (singolo) uomo.”

Elisa Giomi è su vari social, consiglio di seguirla, e di leggere per intero il suo post. Forse oggi l’AGCOM metterebbe in discussione una canzone come Lella. Forse.

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