
Per primo udimmo il rombo. La cosa in sé non ci stupì, perché ne avevamo sentito parlare, però ci impressionò, e molto. Non avevamo mai provato nulla del genere, neanche durante i peggiori temporali in Irlanda, o quando l’oceano si era inferocito, durante la traversata per raggiungere il Nuovo Mondo, e le onde, alte come cattedrali, si abbattevano una contro l’altra.
E poi la polvere, un mare di polvere. Ne avevamo le narici piene, e gli occhi, le orecchie. Avevamo protetto la bocca con la sciarpa, la testa col cappello, per il resto eravamo tutt’uno con quella nuvola, ovunque intorno a noi.
Quando raggiungemmo la sommità della collina, il rombo era cambiato. Non era più solo un rumore che ci avvolgeva, era la terra che tremava. Il paesaggio era brullo, pochi ciuffi d’erba qua e là, solo sassi, tanti, e nessun albero. Trovammo una buca abbastanza ampia dove accamparci. Liam e Patrick legarono i cavalli a un grosso arbusto, poi presero dei massi e in pochi minuti crearono una sorta di muretto, sul lato più a sud. Era qualcosa che facevano sempre con grande facilità, tra i muretti a secco ci erano cresciuti. Ci eravamo appena sistemati che si alzò il vento e la nuvola di polvere si fece meno densa; giallo ocra, si era in parte fusa con le altre, bianche, nel cielo sopra di noi.
Adesso, guardando in basso, potevamo scorgerlo, ed era cambiato ancora. Ora il rombo era rumore, era terra che tremava, era un fiume che scorreva sotto i nostri occhi, né azzurro né verde né giallo, ma nero. E non era acqua, era carne. Un fiume di carne.
I cavalli erano irrequieti, e lo eravamo anche noi. Lassù certo ci sentivamo al sicuro, ma anche piccoli e inermi. Liam tirò fuori i cucchiai, aprì una latta di fagioli e ne versò il contenuto in tre piatti di metallo, gli unici che avevamo. Mangiammo in silenzio. Patrick prese la borraccia, bevve un sorso e cacciò un rutto. Fu l’unico suono umano che sentii quella sera. Coprimmo i cavalli e ci infilammo sotto le coperte. Il rombo e il tremolio ci cullarono, ci addormentammo subito, il fuoco acceso, al centro della buca.
All’alba il sole mi trafisse, obbligandomi a coprirmi anche gli occhi con la coperta. I ragazzi dormivano ancora, un sonno tranquillo, tutto sommato. Il rombo non era mai cessato, per tutta la notte. Credo che se si fosse interrotto ci saremmo svegliati di colpo. Mi scrollai la coperta di dosso. Senza volerlo rovesciai la polvere su quel che rimaneva della brace. Imprecando, mi allontanai di una decina di metri e andai a pisciare non lontano dai cavalli, dietro a un masso che la sera prima non avevo notato. Mi stavo ancora scrollando l’ultima goccia che quasi urlai dallo spavento. Non eravamo soli. Corsi a svegliare Liam e Patrick ma li trovai già in piedi. Patrick era al centro della buca, si grattava la testa.
– Perché hai spento il fuoco, capo? Ora per riaccenderlo ci vorrà un bel po’ e io ho una dannata voglia di caffè e…
– Shhh… abbiamo visite. Seguitemi, non dite una parola – lo zittii, un dito di fronte al naso.
Tornammo al masso, ci acquattammo a terra. Erano almeno una cinquantina, ben visibili sul crinale di una collina al di là del fiume nero che scorreva in fondo alla valle. Alcuni a cavallo, la maggior parte a piedi. Non ci avevano visto, oppure avevano deciso che non era ancora giunto il momento di occuparsi di noi. Liam strisciò fino alla buca e tornò col suo piccolo cannocchiale.
– Sto attento ai riflessi, tranquilli – ci anticipò, coprendo lo strumento con una sciarpa.
Passandoci il cannocchiale li osservammo a turno, senza più parlare. Molti erano guerrieri, il viso dipinto di rosso, gli occhi bordati di nero. Nel gruppo c’erano però anche donne e bambini. Seduti in cerchio, sorridevano e scherzavano. Gli uomini al contrario erano serissimi, parlavano fra loro e indicavano quella corrente mugghiante. Col cannocchiale ci spingemmo alle due estremità di quel flusso ininterrotto di pelo, zoccoli, corna, musi, occhi, code. Per quanto potessimo allungare lo sguardo, non ne scorgevamo la fine.
Decidemmo di tornare alla buca. Non ce la sentimmo di riaccendere il fuoco. Bevemmo il caffè avanzato e Liam aprì un’altra latta di fagioli. Dato da mangiare e da bere ai cavalli scendemmo sull’altro lato della collina e ci mettemmo in marcia. Quella era zona loro, e per quanto ce ne fosse per tutti non ci avrebbero perdonato la più piccola intrusione. Risalimmo quel fiume nero per alcuni chilometri, finché non ci sentimmo al sicuro. Trovata una fonte d’acqua, allestimmo un nuovo campo e i ragazzi tirarono su un nuovo muretto a secco.
Ci preparammo alla caccia. Alla polvere ci eravamo abituati e anche il rombo, ormai, non lo sentivamo più.
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Marco Tosi